di Renzo Cavalieri
Gabriele Crespi Reghizzi, già professore ordinario di Diritto privato comparato nell’Università di Pavia dal 1975 al 2011, si è spento il 23 aprile 2022, all’età di 81 anni.
La comparazione giuridica, non solo italiana, lo ricorderà per il contributo inestimabile che egli ha dato, in più di un cinquantennio di ricerca e insegnamento, alla comprensione dei sistemi giuridici dei paesi socialisti e post-socialisti, in particolare di quello russo e di quello cinese.
Crespi Reghizzi mostrò sin da giovanissimo, già nel suo percorso universitario, quell’insaziabile curiosità per le altre lingue e le altre culture, quella passione per le esplorazioni e i viaggi, e quell’apertura mentale alla novità e alla diversità che avrebbero poi caratterizzato tutta la sua vita e il suo lavoro. Dopo essersi laureato in giurisprudenza a Milano nel 1963, con una tesi sul diritto sovietico dell’economia che aveva come relatore Mario Rotondi, conseguì, nel giro di due soli anni, un diploma in Diritto dell’economia presso l’Università Lomonosov di Mosca (1965) e il Master of Laws a Harvard (1966).
A Mosca, oltre a perfezionare il russo, studiò l’ordinamento e la dottrina giuridica sovietica, ed entrò anche in contatto con alcuni studiosi dell’Accademia delle Scienze Sociali che si occupavano dell’allora misteriosissimo diritto cinese, ossia di un diritto storicamente ispirato a quello sovietico, ma che proprio in quegli anni era sconvolto dalla Rivoluzione Culturale. Con alcuni di loro avrebbe corrisposto e collaborato per decenni.
L’anno successivo, a Harvard, ebbe modo di seguire i leggendari seminari sul diritto cinese di Jerome A. Cohen. In tali seminari, Crespi realizzò l’importanza – per lo studio dei sistemi giuridici più lontani, ma più in generale per qualunque indagine comparatistica del diritto – di integrare l’analisi giuridica con strumenti e metodi analitici diversi e alternativi rispetto a quelli ancora tradizionalmente dottrinali utilizzati nell’università italiana di allora. Sulla scia di tali seminari, nel 1968 pubblicò sulla Harvard Law Review un pionieristico articolo sugli aspetti giuridici dei rapporti commerciali italo-cinesi che rimase a lungo uno dei contributi scientifici più citati nell’ancora rada letteratura giussinologica occidentale.
Tornato in Italia, conobbe quello che sarebbe diventato il suo amico-maestro di una vita, probabilmente la persona che stimava di più sotto il profilo intellettuale e che costituì per lui una fonte continua di ispirazione: Rodolfo Sacco. Tra i due iniziò allora un sodalizio, non privo di contrasti ma sempre fondato su un grande affetto e una profonda stima, che avrebbe ispirato e indirizzato il pensiero e l’attività scientifica e didattica di Crespi per più di cinquant’anni e che sarebbe stato interrotto solo dalla recente scomparsa di entrambi, avvenuta per tragica sincronicità a distanza di un solo mese.
Tra i molti progetti realizzati insieme, tra la metà degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta Sacco e Crespi Reghizzi scrissero alcuni articoli di fondamentale importanza sul diritto civile dei paesi socialisti, tra i quali meritano almeno di esserne ricordati due: uno sul nuovo codice civile della Repubblica Democratica Tedesca (1976) (di cui fu co-autore anche Giorgio De Nova) e uno sull’invalidità del negozio giuridico nel diritto sovietico (1979), entrambi pubblicati sulla Rivista di diritto civile. Queste ricerche e queste pubblicazioni, il cui impatto fu enorme nella cerchia degli studiosi occidentali della materia, contribuirono in modo determinate a svelare le radici che accomunavano il diritto civile sovietico, che sino ad allora era stato considerato perlopiù un oggetto alieno e misterioso, a quelli dei sistemi romano-germanici europei, deideologizzandolo e rendendolo molto più intelligibile e molto più vicino di prima.
Fu tramite Sacco che Crespi venne incaricato per la prima volta nel 1967 dell’insegnamento del diritto dei paesi socialisti presso l’Università di Pavia, dove, dal 1975, avrebbe tenuto la cattedra di Diritto civile dei Paesi socialisti e poi di Diritto privato comparato sino al 2011 (e, negli ultimi anni, anche di Diritto commerciale internazionale).
Nel 1969, riprendendo la tesi di laurea e le ricerche svolte a Mosca, pubblicò una voluminosa monografia sull’impresa nel diritto sovietico (1969), che rivelava già chiaramente una delle caratteristiche più tipiche del suo lavoro e della sua idea stessa di comparazione giuridica, ossia l’importanza primaria che egli attribuiva – sulla scorta del grande insegnamento di Sacco – agli aspetti terminologici e traduttologici del diritto, allora sostanzialmente negletti dalla maggior parte dei comparatisti, e all’accesso alle fonti dirette di cognizione, tanto più indispensabile quanto più distanti sono i sistemi giuridici e linguistici da studiare.
In questo senso, l’accurata indagine svolta da Crespi sulle diverse teorie elaborate dalla dottrina russa per inquadrare la condizione giuridica delle imprese socialiste, in primis quella del “diritto di amministrazione operativa” (operativnoe upravlenie) delle imprese sul patrimonio statale, rigorosissima sia sotto il profilo filologico sia sotto quello tecnico-giuridico, ebbe non soltanto un notevole impatto sulla dottrina sovietologica dell’epoca, ma gli fornì anche gli strumenti analitici specifici per comprendere pienamente, molti anni dopo, le trasformazioni giuridiche che sarebbero avvenute sia in Russia sia in Cina.
Sebbene la Russia restasse la sua specialità, infatti, Crespi non perse di vista la Cina, né allora né mai. Si rammaricava di non aver mai perfezionato il suo cinese, ma, grazie alla sua straordinaria facilità di apprendimento delle lingue, lo conosceva a sufficienza per orientarcisi discretamente, soprattutto tra gli ideogrammi giuridici, sul perimetro semantico del quali era peraltro molto pignolo.
Ci andò per la prima volta nel 1970 insieme alla sua fidanzata Maria Moschini, con la quale si sarebbe sposato l’anno successivo, e ci tornò poi numerose volte. Facevano parte – ospiti eterodossi – di una delegazione organizzata da un partito filo-maoista extraparlamentare italiano. Crespi non fu mai attratto dall’ideologia comunista, tanto meno in quegli anni turbolenti in cui essere comunisti era troppo facile per un anticonformista come lui; sebbene mostrasse un profondo scetticismo sulle qualità morali reali delle democrazie occidentali (con l’eccezione di quella svizzera, di cui aveva un’altissima opinione), conosceva bene i difetti del socialismo reale e difendeva sempre e coraggiosamente, anche in contesti difficili, i valori illuministici, democratici e liberali in cui credeva fermamente.
In quello stesso periodo entrò in contatto con l’Istituto Italo-Cinese di Vittorino Colombo e con la rivista Mondo Cinese e negli anni successivi continuò a seguire con attenzione le evoluzioni del rinascente diritto cinese, pubblicando diversi articoli sulle maggiori riviste sinologiche italiane. Si interessò anche, marginalmente, ad altre aree extraeuropee e alle allora innovative tematiche del diritto dello sviluppo: nel 1973 fu visiting professor presso l’Università Nazionale di Mogadiscio in Somalia e nel 1977 insegnò Law and Development a Wellesley, mentre nel 1980 pubblicò un contributo sull’influenza dei modelli giuridici socialisti nell’Africa musulmana in un volume curato da Gérard Conac in Francia.
Le sue pubblicazioni più significative rimasero comunque quelle sul diritto sovietico: nel 1979, estendendo le sue indagini oltre i temi del diritto civile e commerciale di cui si era occupato in precedenza, pubblicò con Paolo Biscaretti di Ruffìa un importante volume sulla Costituzione dell’URSS del 1977, del quale scrisse sia la parte sulla storia costituzionale sovietica sia l’approfonditissima sezione sulla lingua e il linguaggio della nuova Costituzione. Poco più tardi pubblicò un mitico libretto contenente la traduzione e il commento di quarantaquattro casi giudiziari sovietici intitolato Il Cittadino Kiril Krapivin e la legge, che fu poi studiato per l’esame di Diritto privato comparato da diverse generazioni di studenti pavesi. Nel 1986 fu la volta di un volume sull’oggetto e le fonti del diritto agrario sovietico che curò per Giuffrè.
Tra il 1981 e il 1982 ricoprì l’incarico di Direttore dell’Istituto di Cultura presso l’Ambasciata italiana a Nuova Delhi. L’India fu per lui una grande e corrisposta passione, che tuttavia, a differenza di quella per la Russia e per la Cina, non si trasformò propriamente in un ambito di ricerca. Crespi non si avventurò se non occasionalmente nello studio del diritto indiano (e più in genere dei sistemi di common law) e sul tema pubblicò solo molti anni dopo questa esperienza qualche contributo occasionale sulla disciplina degli investimenti esteri e un isolato articolo sul diritto dell’ambiente in un volume curato da Gianpaolo Calchi Novati, Simonetta Casci e Silvio Beretta (2008). Tentò invece più volte di raccogliere, tradurre e curare saggi sull’argomento, ma purtroppo nessuno di questi progetti, talvolta in avanzato stato di lavorazione, fu portato a compimento.
Di nuovo in Italia, cominciò ad affiancare il suo impegno accademico con l’attività professionale: negli anni Ottanta la Cina stava aprendo le sue porte al commercio e agli investimenti esteri e poco dopo sarebbe stata la volta della Russia e dei paesi satelliti. Si aprì così una seconda fase della carriera di Crespi Reghizzi, nella quale egli affiancò all’attività universitaria quella di avvocato d’affari specializzato in operazioni transnazionali e in contenziosi commerciali italo-russi e italo-cinesi, e quella di arbitro commerciale internazionale. In quest’ultima veste, in particolare, ebbe un ruolo eminente: non solo fu arbitro accreditato presso almeno una dozzina di commissioni arbitrali commerciali internazionali nel mondo (dalla Russia alla Cina, dagli Stati Uniti alla Corea, dall’India al Vietnam), ma fu anche rappresentante italiano presso la Corte d’Arbitrato Internazionale della ICC tra il 2003 e il 2009 e componente di numerose commissioni e task-force internazionali attive sulla materia.
Lavorò principalmente a Milano e a Pavia, ma trascorse anche vari periodi all’estero, soprattutto in Russia e in particolare a Mosca (dove tra l’altro aprì uno dei primissimi uffici di rappresentanza di uno studio legale italiano), ma anche in svariati altri paesi europei ed extraeuropei, impegnato in una grande quantità e varietà di attività accademiche e professionali, tra le quali, per un certo periodo, anche quella di consulente in progetti europei di assistenza tecnico-legislativa per la ricostruzione istituzionale post-sovietica. In questa veste, va ricordato ad esempio il suo ruolo nella redazione della legislazione mongola sulle cooperative del 1994-95 e di quella della Repubblica Popolare Cinese sui contratti (su cui lavorò con Gianmaria Ajani) del 1999, ma soprattutto il suo apporto alla codificazione civile russa del 1995, formalmente riconosciuto nella prefazione della traduzione ufficiale inglese del codice redatta dalla Presidenza della Federazione, che lo annovera tra gli undici giuristi stranieri i cui commenti e suggerimenti sono stati “attentamente considerati e in diversi casi recepiti” dal legislatore (un altro di essi, a onore della comparazione giuridica italiana, è Joachim Bonell).
L’attività professionale, assorbita nella fase più matura soprattutto dagli arbitrati internazionali, non gli impedì di continuare a insegnare e a scrivere. Non è naturalmente questa la sede per tentare una ricognizione, neppure sommaria, della sua amplissima – e purtroppo molto frammentaria – produzione bibliografica: pubblicò infatti negli anni, anche dopo il pensionamento, numerosissimi saggi e articoli, in una grande varietà di lingue, di luoghi e di forme (più di una volta persino in poesia!). Fu anche curatore di svariate opere collettanee, tra le quali può essere menzionata, per quanto riguarda la Cina, la prima raccolta di saggi sul diritto commerciale e l’arbitrato in Cina pubblicata in Italia, a cui lavorò con chi scrive nel 1991.
Come aveva fatto sin dall’inizio della sua carriera, continuò a seguire principalmente gli sviluppi del diritto commerciale e del commercio internazionale della Cina e della Russia, e occasionalmente anche di altri paesi post-socialisti, ma se prima le sue ricerche sul diritto civile e commerciale cinese o sovietico erano una materia di nicchia e di scarsissimo rilievo pratico, la riforma economica cinese e la dissoluzione dell’Unione Sovietica le resero uno strumento fondamentale per la comprensione dei fenomeni in corso, non più solo per gli studiosi del diritto comparato, ma anche per la società e per l’industria.
Crespi non disdegnò mai di parlare e scrivere per il pubblico non specialista, ma anche nei lavori destinati ai pratici o alla divulgazione si distingueva sempre dagli altri osservatori per la lucidità del pensiero, l’eleganza e la leggerezza della scrittura, la profondità della prospettiva storico-culturale utilizzata nell’analisi dei fenomeni giuridici e, come al solito, per la maniacale attenzione alla terminologia e l’ampio e rigoroso utilizzo di fonti dirette e non convenzionali.
Crespi Reghizzi parlava e scriveva svariate lingue, alcune delle quali perfettamente e con grande ricercatezza lessicale, quando ancora nell’accademia italiana ben pochi docenti, soprattutto a Giurisprudenza, conoscevano anche solo vagamente l’inglese. Le lingue straniere per lui non erano un sapere astratto, ma una pratica quotidiana: era spesso all’estero, e oltre alle lezioni e alle conferenze in diversi luoghi e in diverse lingue, teneva quotidianamente una fitta corrispondenza epistolare e telefonica con colleghi-amici sparsi per il mondo. Quella rete di relazioni personali, alla quale tanto ha contribuito anche la classe e l’ospitalità della moglie Maria, era la sua Internet (a quella vera non si sarebbe mai adattato): grazie ad essa riusciva tra l’altro a reperire le fonti originali indispensabili alla sua ricerca, preziosi materiali cartacei di un’epoca predigitale, provenienti da località remote, spediti per posta o consegnati da esotici emissari.
I suoi studenti lo amavano. Ne amavano la verve, la cortesia dei modi, la raffinata cultura letteraria, la visione sempre eterodossa, i racconti di luoghi e di usi misteriosi, ma anche il metodo didattico, allora molto inusuale, fondato generalmente sulla lettura e il commento di passi in inglese quando non di fonti originali. Ne amavano anche e soprattutto l’originalità e l’anticonformismo e ne accettavano bonariamente la gestione anarchica e stravagante dei tempi e delle modalità delle lezioni e degli esami, così come le frequenti (ma molto spesso giustificate) assenze.
Anche lui amava i suoi studenti; nei loro confronti era interessato e attento, sempre empatico, sempre generoso e disposto a condividere le sue esotiche esperienze. Per le selezionatissime tesi che seguiva assegnava temi affascinanti e complessi, a volte molto tecnici, spesso molto originali, magari legati alla letteratura, all’antropologia, alla natura, al cibo. Alcuni di quei temi sono rimasti mitici: “L’elefante nel diritto comparato” o “Il Dharma come ratio decidendi”, ad esempio.
Tra i temi che i laureandi potevano scegliere vi era anche la lettura in chiave giuridica di miti, racconti popolari e proverbi di tutto il mondo. Proprio per questo motivo, per celebrare il suo pensionamento dall’università, nel 2013 Giorgio F. Colombo e chi scrive gli hanno dedicato uno scherzoso liber amicorum intitolato Il massimario. Proverbi annotati di diritto comparato, consistente in una raccolta di proverbi di svariati paesi commentati da più di quaranta colleghi e amici giuristi.
Moltissimi dei suoi laureati gli sono rimasti vicini dopo la laurea. Diversi suoi allievi, poi, hanno intrapreso le tante strade innovative che lo studio e la pratica del diritto di paesi come la Russia, la Cina o l’India iniziavano a offrire e che proprio lui aveva contribuito ad aprire, continuando a trovare nelle sue parole, nei suoi consigli, e anche nelle sue caustiche critiche e nella sua graffiante ironia, infiniti motivi di riflessione, di stimolo, di miglioramento.
L’influenza della sua personalità e del suo lavoro si estese peraltro ben oltre la cerchia dei suoi allievi e anche oltre gli ambiti geografici e politici di cui si era occupato e fu sempre un motivo di ispirazione e un punto di riferimento fondamentale per tutti coloro che in questi decenni si sono cimentati nello studio e nella pratica dei sistemi giuridici più lontani o diversi – da quello giapponese a quelli dell’Africa sub-sahariana – ossia in quella “comparazione estrema” – che compare nel titolo dell’intervento da lui tenuto al primo convegno nazionale della SIRD nel 2011 – di cui egli fu un antesignano e un campione.
Crespi partecipò sempre alla vita della comunità giuscomparatistica italiana, alla quale sentiva di appartenere. La sua personalità indipendente e il suo lucido spirito critico, oltre che l’oggetto e il metodo stessi delle sue ricerche, lo collocarono in una posizione piuttosto eccentrica e talvolta scomoda, ma furono anche i motivi principali per i quali egli godette sempre di una stima speciale da parte di molti colleghi, che lo consideravano una voce fuori dal coro, autorevole, lucida e super partes.
Poco dopo la fine del suo lungo insegnamento pavese, nel 2014 venne invitato dal prof. Anton Rudokvas a insegnare diritto dei contratti e dell’arbitrato internazionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di San Pietroburgo, dove avrebbe tenuto regolarmente lo stesso corso – anche negli anni della pandemia, seppur da remoto – sino al 2021. Dalla collaborazione con l’università di San Pietroburgo nacque il suo ultimo impegno scientifico, ossia la curatela, insieme al collega pietroburghese Vladimir Fedorovic Popondopulo, di un volume sul diritto commerciale russo che fu pubblicato nel 2019 per la collana di diritto commerciale comparato della CEDAM diretta da Pier Filippo Giuggioli.
Nel ricordo che la homepage della prestigiosa università russa dedica alla sua scomparsa, si sottolinea che Crespi Reghizzi è stato il primo straniero a insegnare nella facoltà giuridica dalla Rivoluzione del 1917. Vi si legge anche la seguente frase: “Il ricordo di questa persona straordinaria e di questo studioso eccezionale rimarrà per sempre nel cuore di quanti hanno avuto la fortuna di conoscerlo e di lavorarci insieme.”
Queste parole, che sono il segno tangibile del particolare e reciproco legame d’affetto che lo ha unito alla Russia, sono anche l’espressione di un sentimento comune a molte persone in tutto il mondo, che a maggior ragione in questo momento cupo, in cui il dialogo e la comprensione proprio con i popoli che lui amava sono divenuti tanto difficili, ne rimpiangono non soltanto le straordinarie qualità umane e intellettuali, ma anche il profondo rispetto per qualunque forma di differenza o alterità, giuridica e non solo.